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La clausola sul diritto all'estinzione anticipata del Mutuo


Pubblicato il 16/09/2012 in "Diritto Civile"


La problematica coinvolge aspetti fiscali legati al riconoscimento dei benefici concessi per i mutuo a medio/lungo termine (18 mesi ed un giorno). E' necessario contemperare la finalità fiscale con quella civile del diritto all'estinzione, sancito dal Testo Unico Bancario


 

DIRITTO ALL'ESTINZIONE ANTICIPATA DEL MUTUO

 

La clausola sul diritto all'estinzione anticipata da parte del soggetto finanziato è venuta recentemente in auge a seguito della sentenza Cassazione n. 11155 del 26/5/2005, a cui ha fatto seguito una presa di posizione da parte di alcune Conservatorie, che hanno inteso assoggettare alle ordinarie imposte gli atti di finanziamento privi di una clausola che escluda la possibilità di estinzione nel termine di 18 mesi e un giorno.

 

Si richiede, cioè, che vi sia un espresso divieto all’esercizio di quel diritto.

 

La sentenza della Cassazione e la presa di posizione delle Conservatorie ha, in verità, ribaltato l'esatto quadro normativo.

 

Per sintetizzare, schematicamente vedremo:

a) quale il complessivo dettato normativo in merito;

b) quale la posizione dell'amministrazione finanziaria;

c) quale, in ultimo, la posizione della Cassazione, con l'errore di valutazione commesso.

 

Esaminato tutto ciò potremo veramente valutare se si tratta di clausola abusiva o meno, e quale possa o debba essere il comportamento del notaio chiamato a stipulare un mutuo contenente la clausola in oggetto.

 

Il quadro normativo.

Secondo l'art. 15 del D.P.R. 601/72, godono di imposta sostitutiva i contratti di finanziamento a medio e lungo termine.

Contratti, cioè, la cui previsione di durata minima è prevista in almeno 18 mesi.

 

Secondo l'art. 40 del T.U.B. (D. Lgs. 385/1993) “i debitori hanno facoltà di estinguere anticipatamente, in tutto o in parte, il proprio debito........(!) I contratti indicano le modalità di calcolo del compenso secondo i criteri stabiliti dal CICR, al solo fine di garantire la trasparenza delle condizioni.”

 

Vi è, quindi, un diritto spettante al finanziato (ed il discorso vale sia per i mutui fondiari, che per i mutui onerosi, che per i contratti di c/c ipotecario che per qualsiasi altro contratto di finanziamento posto in essere da istituti di credito), diritto statuito da una norma civilistica a tutela del debitore.

 

Il taglio della norma è di carattere imperativo.

E’ posto a tutela di un interesse generale e, pertanto, non può essere modificato nè ristretto nei suoi contenuti e nelle modalità di esercizio, da alcuna pattuizione negoziale.

 

L'art. 40 impone che nei contratti vengono necessariamente evidenziate le modalità di calcolo del compenso omnicomprensivo, ed il tenore della norma esclude la possibilità che l'esercizio di tale diritto possa essere regolamentato, compresso o addirittura vanificato.

 

Oltre al divieto, infatti, dobbiamo persare alle varie ipotesi di regolamentazione del diritto. E' frequente, ad esempio, la clausola secondo la quale l'estinzione anticipata parziale può avvenire solo se il suo ammontare raggiunga un ammontare minimo, ovvero che possa essere esercitato solo in alcuni giorni del mese e non in altri.

 

Questo tipo di regolamentazione, se pur giustificata da esigenze operative degli istituti, quando comprime eccessivamente il diritto all'estinzione anticipata parziale, si traduce, al pari del divieto, in vera e propria norma contraria alla legge, ossia al dettato di cui all'art. 40 T.U.B..

 

Si pensi, ad esempio, a divieti di estinzione nei primi quindici giorni del mese e negli ultimi dieci giorni dello stesso, con ciò riducendo a soli 5 giorni del mese la possibilità di estinzione;

si pensi, ancora, a preavvisi tanto lunghi da rendere il diritto di estinzione anticipata quasi l’esercizio di una facoltà legata a capacità paranormali, piuttosto che a valutazioni economiche di breve durata da parte del debitore, come invece è giusto che sia;

si pensi, infine, a divieti di estinzione parziale legati a cifre talmente alte da rendere praticamente impossibile l'estinzione anticipata stessa, riconducendo il tutto ad una vera e propria estinzione totale.

 

In tutti questi esempi, richiamando pure i principi del negozio in frode alla legge, non può non ravvisarsi un tale appesantimento del diritto all'estinzione anticipata, tale da equipararlo al divieto di estinzione.

 

L’errore della Cassazione.

Ora, il divieto di estinzione o la sua pesante regolamentazione è ammissibile e addirittura dovutò? O è contra legem?

Sembrerebbe che la Cassazione abbia statuito che il diritto all'estinzione anticipata sia fuori discussione ma che, qualora ciò avvenga prima dei 18 mesi e 1 giorno, non si abbia più il diritto a mantenere l'agevolazione fiscale prevista dall'art. 15 del DPR 601.

Infatti dice: "ciò viene a privare l'operazione della necessaria caratteristica temporale richiesta dalla disposizione agevolatrice".

Pertanto un divieto o una pesante regolamentazione sono senza dubbio, contra legem e da non ricevere.

 

Resta il problema fiscale.

 

Ma dopo quello che prima si è detto, illustrando il “quadro nominativo” di fondo, non può non rilevarsi l'errore in cui è caduta la Suprema Corte, che ha affermato la decadenza dai benefici.

Anzitutto ha confuso (ed ha posto sullo stesso piano) il diritto di recesso del mutuatario (consumatore) con il diritto di recesso, ad nutum, esercitatile dalla parte mutuante.

Se pure si possono condividere le motivazioni della Suprema Corte su questo ultimo punto, chiaramente dobbiamo concentrare l’attenzione sul diritto di recesso dato al consumatore.

Ed allora si può affermare:

  1. vi è compatibilità tra la norma fiscale ed il diritto di recesso del mutuatario, in quanto tale diritto è stabilito dalla legge e non dal contratto;

  2. il diritto di recesso ex art. 40 è una facoltà irrinunciabile da parte del debitore, e non è prevista alcuna durata minima;

  3. la stessa Amministrazione Finanziaria ha chiarito ripetutamente che ciò che assume rilievo è la circostanza che la previsione di durata del rapporto, nel momento in cui il rapporto sorge, sia superiore a quella minima stabilita dalla legge, non rilevando possibili vicende o eventi successivi al rapporto;

  4. non è possibile ritenere che il legislatore fiscale (che è del 1972) abbia voluto sottrarre il contratto, regolamentato secondo la norma del legislatore civile (che è del 1993), alla disciplina agevolativa ed anzi deve pensarsi il contrario…… che, cioè, il legislatore civile (successivo), quando ha regolamentato il diritto di recesso, non ha ritenuto di stabilire alcuna eccezione nè alcuna limitazione temporale o di altro genere, volendo così confermare quanto già in quel tempo vigente, e così anche la normativa fiscale di favore, nel pieno della sua previsione e senza eccezioni di sorta.

 

Se, quindi, vi fosse quell’aggravio del carico tributario voluto dalla Corte, si finirebbe, inevitabilmente, per limitare l'esercizio del diritto di recesso o di estinzione anticipata, diritto che, invece, la Corte non ha affatto inteso precludere o limitare.

 

 

Esaminando, ora, le varianti che si possono realizzare quando il diritto all’estinzione anticipata, viene semplicemente regolamentato ma senza particolari appesantimenti.

Avremo, anche in tal caso, limitazioni temporali o di importo, o di fatti, ma tali da non precludere del tutto il diritto di recesso, ma solo di ben regolamentarlo.

 

Giustificate dal fatto che le modalità operative degli istituti non consentirebbero frequenti ed irrisorie richieste di estinzione anticipata parziale, queste varianti, teoricamente ammissibili poiché non rientranti né nel divieto né in assurde compressioni del diritto, potrebbero comunque rientrare nel campo delle clausole abusive se dovessero finire per alterare l'equilibrio contrattuale e se non sono state oggetto di trattativa (meglio = di trattazione – ma, come abbiamo visto, nei mutui per atto pubblico ciò è fuori discussione).

 

E qui sorge per il notaio l'obbligo di informativa, di esercizio dei propri doveri al meglio, pena la responsabilità disciplinare ex art. 136 L.N. oppure la sua responsabilità civile.

 

Ricapitolando:

regolamentazione che sembra ammissibile: clausole valide o, al più, abusive, con obbligo del notaio di esercitare correttamente la funzione consultiva.

Regolamentazione che sembra, ictu oculi, inammissibile o addirittura divieto: allora si fuoriesce dal novero delle clausole abusive e si rientra in quello delle norme contrarie alla legge, con conseguente nullità parziale della clausola, mantenimento del contratto, e sostituite dalla clausola invalida con il paradigma legale.

 

E trattandosi di nullità parziale, il notaio, anche questa volta, è tenuto ai soli doveri di informazione, ed è chiamato a dare ampio risalto alla clausola nulla, rilevabile d'ufficio, con il necessario tentativo di fare epurare il contratto da quella clausola contra legem.

Ma di fronte al rifiuto dell'istituto e di fronte alla richiesta dei clienti di voler comunque stipulare, e tenuto conto del fatto che l'art. 28 sembra inapplicabile alle ipotesi di nullità parziale, in quanto verrebbe a prelevare il paradigma legale, e tenuto, pure, conto dell'obbligo di prestare il proprio ministero (ex art. 27 L.N.), il notaio non potrebbe fare altro che andare avanti ma informando e sottolineando che il quadro contrattuale può essere ribaltato di fatto dal mutuatario il quale avrà comunque il diritto di recedere in qualsiasi momento, per qualsiasi importo, tutte le volte che vuole e senza dover corrispondere alcuna imposta integrativa in luogo di quella sostitutiva.

 

La circostanza che il notaio rogante si è soffermato sul punto controverso, con la dovuta accuratezza, potrà essere comprovata in un documento a latere, che si potrebbe definire: " di incarico professionale", con il quale si definiscono con precisione i confini del mandato professionale ricevuto.

 

 

 


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