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I Conti Correnti del defunto.

Quali le regole?

 


Pubblicato il 14/10/2013 in "Successioni"


Spesso gli eredi incontrano difficoltà nello svincolare somme depositate a nome del defunto, presso banche o istituti di credito. La mancata conoscenza delle regole legali, poi, è fonte di soggezione verso il "contraente forte" che impone le sue regole. Come districarsi? Di seguito qualche riflessione sul tema.


Gli eredi o anche i semplici chiamati all’eredità (prima dell’accettazione e proprio per valutare se e come accettare) hanno diritto di conoscere quali siano le giacenze del de cuius presso gli istituti di credito.

A tal fine, dimostrata la propria legittimazione a mezzo atto notorio, e dimostrata l’avvenuta circostanza del decesso, a mezzo certificato di morte, potranno ottenere notizie dalla banca su tutti i rapporti con la stessa intrattenuti dal de cuius (conti correnti, libretti di risparmi, depositi di somme, custodia di titoli, mutui, finanziamenti ecc.)

 

Il caso che qui si vuole esaminare è quello del conto corrente.

E' opportuno fare una importante premessa: il conto corrente che è in essere presso una banca, è sempre espressione di un contratto stipulato tra la banca stessa ed il de cuius.

Al momento dell'apertura della successione, quindi, una volta individuata la sussistenza del rapporto, la prima cosa da fare è prendere visione del contratto ed esaminanrne le clausole. I patti contrattuali, infatti, a suo tempo sottoscritti dal defunto, sono quelli che regolano il rapporto e che, spesso, prendono pure in considerazione il caso morte del titolare.

Vertendosi in tema di diitti disponibili e non di norme imperative, il più delle volte le clausole contrattuali prevalgono sui principi legali che, pur valendo a regolare i rapporti solo nel silenzio delle parti, è opportuno conoscere per avere un quadro chiaro e completo; ma è anche vero che la discusione sulla effettiva disponibilità o imperatività dei principi legali in materia, è ancora aperta e pertanto, non è del tutto certo che le manifestazioni di volontà negoziale delle parti possa prevalere sulle norme di legge, anche alla luce della normativa in materia di tutela del consumatore e della conseguente nullità delle clausole "abusive" predisposte e fatte sottoscrivere dal cosidetto "contraente forte". 

Qui di seguito una sintesi delle regole legali.

Bisogna distinguere tra  Conto Corrente Semplice e Conto Corrente Cointestato e  chiedersi quale sia la legittimazione degli eredi al prelievo delle somme ivi depositate.

 

Conto Corrente Semplice

In caso di decesso dell’unico intestatario del conto corrente gli eredi (e non più solo i chiamati) , ossia i soggetti che hanno definitivamente accettato l’eredità espressamente o tacitamente, dovendosi considerare realizzata tale circostanza dalla volontà di prelevare sul conto, hanno la possibilità di effettuare movimenti bancari, in quanto continuatori della personalità giuridica del defunto.

Dal giorno in cui la banca avrà avuto conoscenza del decesso,  provvederà  a bloccare il conto (o i conti) e tutti gli altri rapporti in essere a nome del deceduto. Da quel giorno le deleghe rilasciate non avranno più effetto.

Alla domanda su quali siano i poteri degli eredi di agire sul residuo attivo, verrà data risposta in seguito, esaminando il caso definito sub "b)".

 

Conto Corrente Cointestato

In caso di conto corrente cointestato al defunto e ad una o più persone, congiuntamente, cadrà in successione solo la percentuale del denaro depositato nel conto di spettanza del de cuius: per esempio, se  il conto era cointestato con un'altra persona, cadrà in successione il 50% del denaro (e ciò, si ritiene, anche se l'altro cointestatario sia stato il coniuge, sia in comunione legale dei beni che in separazione dei beni)

Il rimanente 50% potrà essere liquidato all’intestatario vivente.

 

I casi che più frequentemente accadono e che sono oggetto di queste riflessioni, sono due:

a)      se, in caso di cointestazione e di decesso di uno dei due, l’altro possa esigere la liquidazione intera del conto;

b)      se e come possono operare gli eredi del de cuius, sul saldo attivo, sia in caso di conto semplice che di conto cointestato.

 

Per rispondere al quesito sub a) bisogna distinguere se il conto era stato aperto, dai due contestatari,  a firma congiunta  oppure  a firma disgiunta.
 

Nel primo caso, così come il de cuius non avrebbe potuto operare senza la collaborazione del contestatario, allo stesso modo l’ex conintestatario non può considerarsi unico titolare e, pertanto, il conto viene bloccato fino all’identificazione certa degli eredi legittimi che dovranno agire sul conto insieme all’intestatario rimasto in vita.

 

Nel secondo caso, così come, prima del decesso, ciascuno dei contestatari avrebbe potuto liberamente operare sul conto corrente, avendo firme disgiunte, allora il contestatario rimasto in vita potrà legittimamente operare anche sulla quota astrattamente riferibile al de cuius.

 

Questa circostanza (che è un vero e proprio diritto) non è ben vista dalle Banche, che temono di essere coinvolte in diatribe tra i coeredi e il contestatario vivente; bloccano, perciò, il conto con attività reputata da loro opportuna, anche se non legittima in punta di diritto. Bisogna infatti ricordare che l'accordo ABI-Consumatori del 24 maggio 2000 dispone, al comma 4 dell'art.9, che qualora uno degli eredi comunichi alla banca opposizione all'utilizzo disgiunto con lettera raccomandata, non solo nessuno dei coeredi potrà agire sul conto, ma neppure l'originario cointestatario! Quest'ultimo punto è particolarmente dubbio, in quanto il predetto comma andrebbe ad incidere su un diritto autonomo (rispetto alla vicenda successoria), andando a violare il principio res inter alios acta tertio neque prodest neque nocet.

 

In ogni  caso,  agire sul conto da parte dell'originario cointestatario non significa possibilità di  appropriarsi  definitivamente di somme, ma semplicemente avere la facoltà di movimentarle. Resta fermo il diritto degli eredi di ottenere i rimborsi dal cointestatario che avesse prelevato il saldo.

 

La Casazione ha affrontato il tema e, all’interno del generico caso “Conto Cointestato”, ha individuato due differenti regolamenti contrattuali:

1)      la cointestazione pura, ossia la titolarietà plurisoggettiva che è, di norma, disciplinata dalle norme sulla comunione;

2)         la firma disgiunta, ossia la facoltà di prelevare disgiuntamente dal conto, indipendentemente dalla titolarità effettiva delle somme.

 

La Cassazione del 29 ottobre 2002 n.15231/2002, ha valutato la decisione della Corte d’Appello che, sinteticamente, aveva affermato che non vertendosi in materia di contitolarità plurisoggettiva ma solo di facoltà di prelievi, senza limiti, con firme separate, alla morte fosse venuto meno il patto che permetteva il prelievo con firma disgiunta, ex art. 1854 c.c..  Con l'apertura della successione la solidarietà attiva non si può continuare a presumere, perché la clausola pattizia "a firma disgiunta”  deve ritenersi decaduta secondo le regole del mandato.

Pertanto la banca può legittimamente impedire al contestatario “a firma disgiunta” qualsiasi prelievo oltre la somma di sua pertinenza.


La Cassazione ha criticato la decisione della Corte d’Appello, ritenendo non legittimo il rifiuto della banca e ritenendo, invece, che il rapporto contrattuale originario non muti e che gli eredi potranno continuare il rapporto come fossero il de cuius, continuandone la personalità.

 

La Cassazione ha condiviso l’affermazione secondo cui la solidarietà dal lato attivo non si presume, ma ha anche affermato che nel caso di conto corrente cointestato a firma disgiunta la solidarietà attiva è sufficientemente appalesata dalla cointestazione e dalla congiunta facoltà di operare disgiuntamente sul conto.

Un titolo così concepito realizza una obbligazione solidale attiva.

Pertanto, anche dopo la morte di uno dei contestatari l’altro, se a firma disgiunta, può legittimamente operare per l’intero, ma per l'intero possono pure operare gli eredi, in quanto continuatori della personalità giuridica del de cuius. Ma come? Congiuntamente o in quote?

 

Dopo aver chiarito quali possano essere i poteri del cointestatario, a firma disgiunta, (superiore caso sub a), è ora facile rispondere al quesito sub b):

“se e come possono operare gli eredi del de cuius, sul saldo attivo, sia in caso di conto semplice che di conto contestato.”

 

Il problema si pone poiché è prassi degli istituti pretendere la contestualità di tutti i coeredi, di fatto bloccando il conto corrente nel caso, non infrequente, di dissapori o discordie tra gli stessi. Ciò anche in applicazione dell'accordo ABI-Consumantori sopra ricordato. Non di rado, poi, intervengono specifiche clausole contrattuali, sottoscritte dal de cuius in vita, che dettano regole individuali per il caso morte. E tali clausole non possono, evidentemente, essere qui esaminate, essendo necessaria una loro valutazione caso per caso.

 

Tornando ai principi generali, se il conto corrente era intestato esclusivamente al de cuius, la presenza di una pluralità di eredi rende il conto nella contitolarità degli stessi (salvo quanto appresso si dirà, con riferimento al meccanismo della comunione legale dei beni),  anche se tecnicamente non può parlarsi di cointestazione (ai sensi dell'art.1854 c.c), in assenza di una manifestazione di volontà congiunta degli eredi. Esclusa, pertanto, la solidarietà attiva degli eredi (nessuno può, perciò, prelevare per intero con effetto liberatorio per la banca) è tuttavia voro che ciascuno può prelevare la quota di sua spettanza, indipendentemente dal consenso o dalla contestuale presenza di altri, in applicazione del principi di base che regolano il rapporto debitore/creditore: la pluralità degli eredi non fa altro che far sorgere una pluralità di rapporti obligatori, tra loro autonomi. 

Tale principio è autorevolmente riconosciuto in dottrina (vedi per tutti F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, volume III, Giufrè editore 1959, pag.274 lett.g)) ed in giurispridenza (Cassazione  S.U. del 28\11\2007 n.24657).

Ovvio che è un problema di prova, gravante sul singolo coerede, riuscire a dimostrare sia la propria qualità che la quota a lui spettante. Per tale scopo la legge prevede un Atto Notorio, che libera certamente da ogni responsabilità l’istituto bancario, anche se – in un secondo momento – dovesse esserci un erede vero che potrà lagnarsi contro l’erede apparente e non certo contro l’istituto bancario che si sia adeguato alle regole legali, con prudente apprezzamento e senza leggerezze.

 

Purtroppo la facoltà, di fatto possibile, di ritenere le somme bloccando il conto (anche in applicazione del citato accordo ABI), per motivi di opportunità e per tenersi fuori da responsabilità cui potrebbero essere chiamati, fa sì che gli istituti adottino come prassi la richiesta della necessaria collaborazione, compresenza, e consenso di tutti i coeredi, circostanza spesso irrealizzabile.

 

Se il conto corrente era, invece, cointestato con altri, caso frequente con il coniuge, bisognerà distinguere se:

1)      a firma congiunta;

2)      a firma disgiunta.

 

Ipotizzando qui la cointestazione con il coniuge, nel secondo dei casi predetti, il  coniuge, in applicazione del principio di solidarietà attiva, potrà operare separatamente sul residuo (1854 c.c.), salvo il diritto di ciascun concreditore (ovvero di ciascun nuovo contestatario-erede)  al rimborso per le quote di rispettiva competenza. Rimborso che potrà essere richiesto solo al coniuge che ha prelevato per l'intero e mai all’istituto bancario che nulla ha fatto se non rispettare le clausole contrattuali a suo tempo sottoscritte.

Quanto ai poteri degli eredi, si puó ipotizzare che ciascuno degli stessi, continuando la personalitá giuridica del de cuius, possa pure operare sul conto corrente, e per intero! Cosí come avrebbe potuto fare in vita il de cuius stesso. Altra, e piú restrittiva interpretazione, farebbe propendere non per una tecnica "cointestazione con firma disgiunta" in continuazione di quella giá vissuta dal de cuius, bensì di una semplice contitolaritá, che darebbe comunque diritto a ciascuno degli eredi, titolare di un autonomo raporto di debito/credito con la banca, di una liquidazione parziale della propra quota, esattamente come acada per un conto corrente non cointestato.

 

Nel primo caso, posto che – come la citata Cassazione ha statuito – neppure il coniuge potrebbe,  dopo la morte, agire sul residuo, stante la mancanza di solidarietà attiva così come nessun altro erede,  in questo caso sembra lecita la richiesta di contestualitá fatta dalle banche, per replicare e continuare il paradigma contrattuale vigente prima della successione, ma solo per la liquidazione del conto mentre, invece, per liquidazioni parziali, secondo le quote di ciascuno, vale la dottrina e la giurisprudenza sopra richiamanta in materia, con dubbi di validità delle contrarie clausole dell'accordo ABI o delle singole clausole contrattuali, qualora le norme di legge siano qualificabili come imperative e non dispositive .

Occorre, infine, considerare il meccanismo legale previsto dall'art. 177 c.c., nel caso di  conto corrente semplice.

Se uno solo dei coniugi era intastatario di un conto corrente, in costanza di comunione legale dei beni, il citato articolo, alle lettere b) e c), dispone che cadono in comunione sia i frutti dei beni personali non consumati al momento dello scioglimento della comunione, sia i proventi dell'attività separata dei coniugi, sempre non consumati al momento dello scioglimento della comunione.

Ciò significa che il coniuge sopravvivente avrà diritto al 50% del saldo del conto intestato solo all'altro, iure proprio e non iure successionis.

Di ciò la banca dovrà tener conto e consentire di liquidare al coniuge, che dimostri di essere tale e di essersi trovato in colmunione legale dei beni, il 50% del saldo, senza concorrenza con altri eredi.

La concorrenza opererà, per l'individuazione delle quote di spettanza, solo sul residuo 50% e, le regole di accesso a tale importo residuo sono quelle già trattate rispondendo al superiore quesito sub b).

 

 

 

 

 

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